Cucina e cantina

“Ci sono molti modi per arrivare, il migliore e’ non partire” (Ennio Flaiano)

Piatti storici…

Una selezione dei nostri piatti tradizionali!

La Trippa alla Di Sipio

Il Falsomagro di vitello
stracotto

La Pecora della Majella al tegame

Il Cinghiale fuggiasco del Parco

La Maialata

Il Baccalà crudo

Il Baccalà in cartoccio con marmellata di cipolle

Il Baccalà San Giovanni con pomodori

Polenta di ceci e baccalà al rosmarino dolce

La Makaira alla Trappetara

Le Scrippelle Mbusse

La Fracchiata

L’Entrecote di agnellone del Gran Sasso

La Scottata di vitellone “Palluto”

L’Anatra all’arancia

Il Coniglio di Prati di Tivo

La Steak Tartare preparata al tavolo

Lo Spaghetto della Fara con sugo finto

La Chitarrina con funghi e tartufi dell’aquilano

Le Fregnacce come a Cermignano

La Crespella con goccia d’oro d’Abruzzo

I Maccheroni alla borbonica
con peperoncino e cioccolato

Le Pennette alla bebè
Il Farro con germogli di ortiche e misticanze di campo

Le Ciammariche di vigna a colori

La Fellata abruzzese

Il Patè di papera muta

Il Pecorino Marcetto
di Campo Imperatore

La Cantina di Taverna 58

…e le dolcezze

Una lista dei nostri dolci tradizionali.

La torta 58 caffè e cioccolato

I soffici

Oh…ppè la Majella

Cioccolosità e il ratafià fresco di visciole di fratta

Lo Zabaglione caldo al Marsala

La Mousse di cioccolato amaro e panna

La Cassata di Parrozzo

La Pizzadolce

La Insalata di frutta fresca con granita di montepulciano passito

Abruzzesità e il Vin cotto

Il Budino di domenico con la liquirizia di Atri

La mappatella di pastarelle da forno e il vino di Castiglione a Casaura.

E mole altre specialità…

Duemila anni di storia dentro la Cantina di Taverna 58

Le strutture d’età romana riferibili alla città di Ostia Aterni e di resti attribuibili alle sue fasi altomedievali, quando l’abitato era noto come Aternum, sono visibili in un unico punto, nei sotterranei del ristorante, ove un pavimento in opera spicata di II-III secolo d.C., che copre un più antico pavimento a mosaico, è suggestivamente visibile all’interno di una sorta di pozzo moderno che lo raggiunge, al disotto del livello delle acque di falda che dall’età romana ad oggi sono risalite sino a ricoprire i piani romani. Visibili nella cantina del ristorante sono anche alcuni muri attribuibili ad un’abitazione d’età medievale (secc. XIII-XIV) riutilizzati alla fine del XVI secolo, al momento della ricostruzione della città ormai abbandonata come fortezza spagnola, per realizzare una piccola camera sotterranea di sfogo per le acque.

A seguito del suddetto rialzamento delle acque di falda era infatti stato necessario rialzare anche i livelli di vita nella zona, tanto che restarono sepolti i resti di varie abitazioni medievali, i cui muri furono comunque riutilizzati come fondazioni delle successive case cinquecentesche.

L’ingombro e l’articolazione dell’attuale assetto del ristorante riprendono infatti esattamente l’assetto del primitivo fabbricato tardorinascimentale, di cui rappresentano importante testimonianza anche alcune brocche rinvenute proprio durante gli scavi del 1999, di preziosi oggetti di probabile produzione pennese, tra cui un boccale con il suggestivo motivo delle “Belle Donne” riecheggiante la tipologia castellana detta Orsini-Colonna, databili proprio al XVI secolo, oggetti da tavola per nobili signori, ufficiali e militari della fortezza, giunti a Pescara alla metà del XVI secolo per difenderla dalla minaccia turca.

La frittata sublime di D’Annunzio

“Io mi vanto maestro insuperabile nell’arte della frittata per riconoscimento celestiale. Uditemi. Nel bel tempo, in terra d’Abruzzi, a Francavilla
su l’Adriatico, io vivevo con miei fratelli d’arte accordati in una specie di fràtria monda di ogni altra gente estranea, accordati e giurati a cucinare il pasto cotidiano per turno.
In un pomeriggio di luglio ci attardavamo nella delizia del bagno e nella gara del nuoto,quando
mi fu rammentato con le voci della fame toccare a me la cura dell’imbandigione rustica.

Non mancai di avvolgermi in una veste di lino rapita a Ebe e di correre verso la vasta dimora costruita di tufo e adorna di maioliche paesane. Ruppi trentatrè uova del nostro pollaio esemplare, e, dopo averle sbattute con mano prode e sapiente, le agguagliai nella padella dal manico di ferro lungo come quel d’una nostra chitarra da tenzone o d’una tiorbia del Barbella.
La grande arte si pare nel rivoltar la frittata per dar ugual cottura all’altra banda.
Scarsa era la luce. Annottava.
I nostri mezzi d’illuminazione eran incerti.
Allora escii con la padella all’aria aperta, sul limitare del vestibolo di tufo.
Scorsi l’armilla della nova luna nel cielo glauco. Adunai la sapienza esatta e il misurato vigore nelle mie braccia e nelle mani che reggevano il manico, diedi il colpo, attentissimo a ricevere la frittata riversa.
La frittata non ricadde. Pensate con quale angoscia dubitai che per mio fallo si fosse spiaccicata sul tufo.Ero certo di avere questa volta superato me stesso. Guardai e riguardai.
Nessuna traccia!
Nel volgere gli occhi al cielo, scorsi nel bagliore del novilunio la tunica e l’ala di un angelo. Mi feci gelo.L’angelo nel passaggio aveva colta la frittata in aria, l’aveva rapita.La sosteneva con le dita non usate se non a levare l’ostia.
La recava ai Beati, offerta di perfezione terrestre. Non imitava la dorata rotondità dell’aureola? In Paradiso, o mio ospite vantevole,o emulo straumiliato nel Cielo primo ell’è per i secoli dei secoli l’aureola di Sainte Omelette …”

(G.D’Annunzio, Il Libro Segreto )